mercoledì 20 maggio 2015

Crashdïet - Rest In Sleaze (10th Anniversary)

Universal - 2005

Prologo
: è il 2001. Sono passati dieci anni da quando il grunge si è abbattuto come un fulmine a ciel sereno sulla scena glam ipersatura di Los Angeles, facendola sprofondare in un'agonia che due anni dopo si trasformerà in decesso. In America il rock è già sparito dalla top 10 delle vendite, ma pop punk, nu metal e affini se la passano comunque bene grazie a MTV che ancora manda la loro musica in giro per il mondo. La scintilla glam però non si è del tutto spenta e qualcuno tra i big sopravvissuti è tornato a calcare gli stadi. Ma è dall'altra parte dell'Atlantico che una nuova generazione sta per raccoglierne l'eredità. Per la precisione in Svezia, dove le chitarre distorte godono di buona salute grazie a un assortimento di generi in cui spiccano le fiorenti scene death metal e garage rock. L'anno prima, un giovane rocker che si fa chiamare Dave Lepard ha fondato i Crashdïet, che nel look e nel sound ripropongono fedelmente il lato più rozzo e stradaiolo del Sunset Strip degli anni '80. L'anno dopo rifonda il gruppo con nuovi membri e il quartetto s'impone sulla scena locale, fino a raggiungere un obiettivo impossibile: un contratto con una major, la Universal. Il 20 maggio 2005 possono così pubblicare il loro album di debutto, "Rest In Sleaze".

Bastano i primi due secondi di chitarra di Knokk 'Em Down per capire che siamo tornati ai fasti del glam più decadente, rinvigorito con rinnovata aggressività e ruvidezza. La canzone delinea già chiaramente il sound della band con le chitarre vetrioliche, il basso pieno, la batteria martellante e i cori superarmonizzati da anthem. La voce di Lepard compensa con intensità e stridenti acuti ciò che le manca in potenza. Il testo, uno sfogo contro la grigia monotonia della routine lavorativa, rivela l'attitudine rabbiosa e disillusa mutuata dal punk che li contraddistingue dai loro spensierati e festaioli predecessori.
A seguire arriva il primo capolavoro e il singolo probabilmente più conosciuto, Riot In Everyone.
Lanciato da un brutale intro di basso e chitarra, è un concentrato di adrenalina impreziosito dai riff affilati di Martin Sweet che culmina in un coro memorabile carico di epicità. Un inno alla ribellione di altissimo livello. Si passa subito a uno degli altri momenti migliori, la viziosa Queen Obscene (69 Shots), un hard rock a luci rosse allo stesso tempo cafone e sinuoso come un serpente tra le braccia di una stripper grazie.
Breaking The Chainz ritorna verso l'atmosfera cupa e le sonorità più dure dell'opener e offre un altro momento di scontro frontale. Personalmente non una delle punte dell'album, ma all'epoca fu scelto come un dei singoli. Needle In Your Eye ci porta nell'eterno ambito delle relazioni sentimentali  ed è reso gustoso dalla composizione particolarmente curata, che ruota intorno a riff ipnotico di quelli che si appiccicano subito in testa. Tikket ha un bel ritmo sostenuto che tiene alta la tensione, mentre Out Of Line rallenta per un momento di lascivia inquietante ma al tempo stesso seducente, tipo finire a letto con la sexy goth che tira fuori le manette e la frusta dal comodino. Ma arriva il momento della gemma più bella dell'album, il magnifico e struggente anthem It's A Miracle, epico, drammatico, sensuale, il brano cesellato da una finissima performance musicale e una perfetta composizione. Un centro perfetto che vale una carriera. Dopo l'orgasmo, arriva il momento della sigaretta ed è Straight Outta Hell, rilassata nella sua strafottenza ma vivace nella sua schiettezza. Si chiude infine con Bakk On Trakk, un dolce che chiude il pasto degnamente con un'inaspettata e fresca vena di sognante ottimismo e lascia la bocca appagata.

Epilogo: l'album arrivò alla dodicesima posizione nelle chart svedesi e anche se non ebbe altrettanto successo commerciale, insieme al capolavoro self-titled degli Hardcore Superstar diede il via alla rinascita della scena glam e sleaze. Il sogno però era destinato a trasformarsi in un incubo per la band. Fin troppo fedele al motto live fast, die young, Lepard non riuscì a gestire la sua rivolta interiore e vittima dei suoi stessi eccessi, si uccise a gennaio del 2006. I tre sopravvissuti decisero di portare avanti l'eredità del gruppo e reclutarono il finlandese Olliver Twister, con cui incisero il deludente The Unattractive Revolution. Licenziato Olliver, reclutarono il crestato Simon Cruz che con la sua energia e il suo magnetismo erotico riuscì a ribaltare la situazione. Con lui hanno sfornato due bei lavori, Generation Wild e The Savage Playground, ma la sorte si è fatta di nuovo avversa con l'improvviso abbandono di Cruz qualche mese fa.

E della scena che dire? Il bilancio è complesso ma positivo. Il genere non ha mai neanche sfiorato il successo commerciale della scena originale, ma è riuscito a cementare la sua presenza nel panorama rock mondiale ed è destinato a restarci. Esaurita l'iniziale spinta iniziale, si è stabilizzato con una buona vitalità e continua a sfornare ogni anno un numero più che esauriente di lavori e band valide. Fatevi un giro sul SleazeRoxx, portale di riferimento per la scena, e vedrete voi stessi. Nonostante la pesante connotazione di revival, non perde di freschezza e la ricerca di suoni e di direzioni proprie, tra tentativi più e meno riusciti, continua.

Keep ya hair in shape, kids!


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