domenica 18 novembre 2012

SNAFU 2.0: Skull Fist - Head of the Pack

Festeggiamo la nuova grafica dal sapore di Earl Grey con un 2.0 del soldatino Frankee che ci spiattella senza preavviso una recensione Heavy Metal. Chi siamo noi per non pubblicarla? Speriamo serva da esempio per tutti quelli che c'hanno voglia di scrivere due righe in libertà e mandarcele in Caserma.


Anno Domini 2011: l’heavy metal risorge dalle proprie ceneri come l’araba fenicie e questa volta batte bandiera canadese. Ebbene sì, perché gli Skull Fist, quartetto originario di Ontario capitanato dal frontman e chitarrista Jackie Slaughter, pubblicano il 4 agosto 2011 un disco d’esordio che rischia di diventare presto oggetto di culto, nonché uno dei lavori più importanti del genere per quanto riguarda gli ultimi anni.

Ma partiamo dalle origini. Gli Skull Fist nascono nel 2006 per volontà di Jackie Slaughter, si fanno le ossa con un paio di Ep e una lunga serie di concerti finché nel 2010, dopo vari cambi di line-up, cominciano a far parlare seriamente di sé grazie all'ottimo EP Heavier than metal, che viene accolto molto bene dalla scena metal americana, permettendo al gruppo di finire sotto contratto con la Noise and Art Records dopo un tour che li aveva portati in lungo e in largo in giro per il Canada. Il passo successivo? Ovviamente l’uscita del primo full-lenght targato Skull Fist: signore e signori, ecco a voi Head of the Pack.

I primi trenta secondi di Haed of the Pack sono già sufficienti per capire a cosa si sta andando incontro. Chitarre secche e taglienti come vuole la miglior tradizione NWOBHM, ritmiche serrate, voce squillante e tanta, tanta energia. Non male come biglietto da visita, e il meglio deve ancora venire. 
L’album prosegue infatti a cento all’ora così com’era iniziato, e alla title-track seguono la coinvolgente Ride the Beast e la frenetica Commanding the night: eccoli i tre indizi che fanno una prova. Ad ascoltare queste canzoni sembra davvero di aver fatto un viaggio a ritroso nel tempo fino ai primi anni ’80, quando con l’esplosione della NWOBHM gruppi come Iron Maiden, Judas Priest e Saxon (che nell’arco di un decennio si sarebbero guadagnati lo status di mostri sacri del genere) cominciavano ad incendiare i palchi di mezzo mondo mentre l’heavy metal si apprestava a vivere uno dei suoi periodi milgiori. 
Arriviamo dunque col respiro corto al giro di boa dell’album, e se Cold night e Tear down the wall appaiono forse meno trascinanti dei pezzi precedenti non c’è nulla di che preoccuparsi, perché si tratta solo di rifiatare per qualche minuto per poi lanciarsi a capofitto nella seconda parte del disco, se possibile ancora più entusiasmante. La rockeggiante Commit to rock, l’epica Ride on (forse il miglior pezzo del lotto)e l’incalzante Like a fox sono un trio di gioielli al cardiopalma che aprono la pista alla clamorosa No false metal, vera e propria dichiarazione d’intenti degli Skull Fist, nonché inno incendiario al vero Metallo, destinata a far breccia in sede live. Il disco si chiude in bellezza con Attack attack, cover dei Tokyo Blade, storico gruppo della NWOBHM, giusto per ribadire una volta per tutte da quale tradizione prendono le mosse gli Skull Fist. E Il fatto di riuscire a rivitalizzare un genere come quello della New Wave of British Heavy Metal senza cadere nei triti e ritriti cliché del passato è forse uno dei meriti maggiori di Head of the Pack e, anche solo per questo motivo, gli Skull Fist andrebbero a lungo ringraziati.
Se una trentina d’anni fa nasceva un’intera generazione di metal kids grazie ad album che sarebbero presto diventati veri e propri classici, come The number of the Beast o British Steel, oggi gli Skull Fist ci regalano questo Head of the pack, che forse da solo non basterà a far sorgere l’alba di una nuova era, ma che sicuramente è un bellissimo raggio di sole metallico che va a illuminare un panorama in cui forse, dopo anni di nulla, qualcosa sta tornando a muoversi.

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