domenica 11 novembre 2012

SNAFU 2.0: Blink-182 - Neigborhoods review

La recluta Frankee ci invia un pò di 2.0 che pubblicheremo nei prossimi giorni...il primo è questa recensione dell'ultimo - seppur non più nuovissimo - album dei Blink 182.
Prendete esempio dal soldatino di piombo e usate il 2.0 per mandare di tutto.....


Era il 2005 quando i Blink 182 decisero di prendersi un periodo di pausa a distanza di due anni dall’uscita del loro quinto album, l’omonimo Blink 182 (sesto album volendo contare Buddha, inizialmente pubblicato solo su musicassetta con una tiratura di un migliaio di copie). In seguito a questa pausa, che tanto assomigliava ad un effettivo scioglimento della band, Tom DeLonge fondò gli Angels & Airwaves, con i quali poté soddisfare la sua ansia di nuove sperimentazioni musicali e dare libero sfogo a un ego che gli ultimi successi dovevano aver un tantino ingigantito, al punto da farlo arrivare a dichiarare che la sua nuova band avrebbe dato vita “alla più grande rivoluzione rock n’ roll di quella generazione”.
Solo più tardi Tom avrebbe dichiarato di essere stato in quel periodo dipendete da farmaci antalgici, il che se non altro ci spiega da dove nascessero simili dichiarazioni quantomeno creative. Dal canto loro, nemmeno Mark Hoppus e Travis Barker persero tempo e fondarono i +44, con i quali tennero viva una proposta musicale più simile a quella della loro band d’origine. I risultati e l’impatto di entrambe le imprese parallele furono, a voler essere gentili, piuttosto deboli e discutibili, ma ciò non sembrò preoccupare minimamente né Hoppus né Delonge, tanto che qualche tempo dopo si arrivò ad una laconica dichiarazione dello stesso Hoppus che, alla domanda se si stesse comunque sentendo con Tom (fino a prova contraria l’amico di una vita dai tempi del liceo), rispose con un secco e alquanto eloquente: “not at all”.
Nell’autunno 2008 l’incidente aereo che quasi costò la vita a Travis Barker spinse però i due (ex?) amici a riallacciare i rapporti, e in un certo senso il seguito sulla lunga distanza di tutto ciò fu il ritorno sulle scene della band, che comunicò la propria reunion a inizio 2009, in seguito alla guarigione e completa riabilitazione di Travis.
Due anni dopo (in ritardo di un anno rispetto alla data d’uscita precedentemente ipotizzata) ecco il turno di Neighborhoods, sesto album in studio per la band, il cui arduo compito è quello di dimostrare se i Blink-182 abbiano ancora senso di esistere all’alba del 2011 dopo sei anni di pausa, o se invece ci si trovi di fronte alla solita reunion di comodo dovuta a motivi prettamente economici e di ritorno mediatico.
A un primo ascolto del nuovo album (ma basterebbero già le prime due o tre canzoni) non si può che notare immediatamente una cosa: i Blink 182 di Enema of the state non esistono più. La proposta musicale del trio riprende infatti esattamente là dove si era fermata con Blink-182, se possibile con un occhio di riguardo ben evidente alle sonorità degli Angels & Airwaves, il che la dice lunga su come gli equilibri in fase di songwriting e orientamento musicale, storicamente fifty-fifty fra Mark e Tom, si siano progressivamente spostati in favore di quest’ultimo, cosa che peraltro era già piuttosto evidente fin dai tempi di Blink-182, non a caso il primo album “sperimentale” della band. Fu proprio tale lavoro a sancire il tentativo di passaggio dei Blink-182 a uno stile musicale più maturo e “rispettabile”, finendo però per alterare profondamente l’impronta e lo spirito di una band che fino ad allora aveva basato il suo successo anche sull’immagine di cazzoni patentati grazie a video azzeccatissimi e fortunatissimi (What’s my age again? e All the small things su tutti) e dichiarazioni quanto mai esplicative: “Suonavamo e, improvvisamente, uno di noi rimaneva con l’uccello per aria. Era una cosa che ci faceva ridere per ore ”, dichiarò Mark sulle pagine di Tutto Musica nel lontano 1999 alla “tenera” età di 28 anni, giusto per fare un esempio.
Fatto sta che più di una volta mi è sorto il dubbio che la pausa di riflessione in seno alla band sia principalmente dipesa proprio dal tentativo di cambiare le coordinate in corsa provocando però nient’altro che uno smarrimento artistico, o forse più verosimilmente dando inizio agli scazzi fra Mark e Tom (il peso in fase decisionale e compositiva di Travis, che musicalmente cagherebbe tranquillamente in testa a entrambi, per me rimarrà sempre un mistero irrisolvibile).
Di fatto però va anche detto che il tempo passa per tutti, e i Blink non avrebbero potuto avere per sempre 25 anni. 
Se nel 2005 il cambio di direzione aveva contribuito a partorire un album discreto ma altalenante e di cui forse i Blink per primi non erano sufficientemente convinti, lo stesso non credo si possa dire per Neighborhoods. I Blink sono cresciuti, si sono mollati e ripresi, hanno fatto le loro esperienze e sono possibilmente maturati come uomini e come artisti, e questo album ne è la riprova: vario, completo e coerente, sicuramente farà storcere il naso ai fan della prima ora che vorrebbero il trio di San Diego ancora intento a cantare di cotte liceali, party alcolici e spensierati inni alla gioventù, ma visto a mente sgombra e senza paraocchi, Neighborhoods dimostra anche la crescita di una band che sta evidentemente provando ad evolversi e, a parere di chi scrive, lo sta facendo nel migliore dei modi.
Certo, sicuramente si tratta di un lavoro meno immediato di tutti i suoi predecessori e che ha bisogno di tempo per farsi apprezzare al massimo, ma è proprio questa forse una delle maggiori qualità di un album che non si esaurisce in pochi ascolti. Fra i pezzi migliori si segnalano Ghost on the dancefloor, Up all night, Kaleidoscope e Heart’s all gone, l’unica traccia che strizza davvero l’occhiolino a quello che i Blink sono stati fino alla fine degli anni Novanta. Menzione speciale anche per la bonus track Snake charmer, una delle canzoni più atipiche mai composte dalla band.
Una critica che si può muovere a Neighborhoods è forse quella di mancare di una hit da primo posto in classifica, che ti si stampa in testa e non ti molla più, insomma un po’ quella tipologia di canzone che aveva fatto la fortuna dei Blink nelle loro precedenti uscite, ma si tratta in questo caso di un difetto tutto sommato trascurabile vista la qualità media decisamente alta dell’album, in cui è difficile riconoscere un solo filler.
“Well, I guess this is growing up” cantava Mark nel 1997, e all’alba del 2012 anche noi possiamo dire che, beh, i Blink-182 sono davvero cresciuti. Il giorno che Mark e Tom impareranno a suonare anche in sede live, allora potranno diventare davvero una grande band.

1 commento:

Il soldato SNAFU odia i Troll quindi, se devi trollare, fallo con stile e non farti scoprire!